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La grandezza del frammento
Francesco Forlani e il
Manifesto del comunista dandy
Un libro serissimo e brillante, leggero e rigoroso. Tra materialismo storico e acrobazie post-metafisiche, estetismo post-lineare e apologie delle apparenze e dello spreco

L’impeccabile copertina del Manifesto del comunista dandy. Ove il contenuto del libro è manifesto.

LA GRANDEZZA DEL FRAMMENTO. FRANCESCO FORLANI E IL MANIFESTO DEL COMUNISTA DANDY

di Tiziana Gazzini

Non si può trattare il Manifesto del comunista dandy scritto da Francesco Forlani (Miraggi Edizioni, 2015), come un libro sul dandismo “di sinistra”. Semplicemente perchè non è un libro “su”. E’ invece un libro “dentro”. E’ un “Manifesto” che, mentre dichiara, agisce con la scrittura nel senso dichiarato. Per tentare l’avvicinamento al testo, non resta che stare al gioco, seguirne lo spartito e battere il tempo al ritmo delle sue volute (dis)armonie.
L’Articolo 1 si intitola Per diventare comunisti dandy e avvisa il lettore dell’impossibilità di diventare dandy (e comunisti) contraddicendo la promessa appena fatta. Comunisti dandy si è o non si è. D’altra parte Forlani ha scritto un “Manifesto”. Dai Manifesti nascono le Rivoluzioni, quelle che escludono e soprattutto combattono omologazioni e conformismi, salvo poi introdurne di nuovi, ma non è il caso di questo Manifesto e nemmeno di questa Rivoluzione.
Un comunista dandy lo è sempre in maniera diversa, indipendente, originale. Non resta che fidarsi delle apparenze, come invita a fare Forlani fin dall’ Art. 1 guardando più a Carlo Marx che a Oscar Wilde. Più al materialismo storico che all’estetismo. Più alla linguistica che alla moda. Non esiste contenuto senza forma, non esiste realtà senza apparenza. Inseparabili, come le facce di una stessa moneta.
Allora, il pensiero di Forlani va letto e interpretato proprio partendo dalle sue apparenze. Grazie ai solidi contenuti filosofici ai quali si appoggia, il Manifesto del comunista dandy può permettersi leggerezze estreme, scardinamenti di consuetudini, offese alle aspettative, screanzate ironie.
Dopo l’Art. 1, il lettore consumato si aspetta l’Art. 2. Invece trova l’Art. 18 Il posto fisso logora chi ce l’ha. Il 2 Lunga vita ai debitori arriva dopo il 42 Il bambino comunista dandy e il movimento, in un percorso non lineare che attraversa l’opera. E già si sentono folate di venti derridiani. Il filosofo Jacques Derrida parlava nel ’67 della fine della scrittura lineare e in De la grammatologie avvertiva che, però, non c’era da aspettarsi l’immediata distruzione della forma del libro perchè è proprio “… nella forma del libro che bene o male si lasciano inviluppare nuove scritture, letterarie o teoriche che siano”. (Della grammatologia, Jaca Book, 1969)
La questione delle apparenze mette in gioco molto più della mancata sequenzialità e dell’incompletezza della numerazione degli articoli del Manifesto. Un’altra questione sta molto a cuore a Forlani: l’arbitrarietà, altro nome della libertà e della ribellione.
Le maglie larghe tra un articolo e l’altro del Manifesto consentono irruzioni che sono letterarie, poetiche, surrealiste, filosofiche, artistiche e vanno dal Microrécit alla Pillola, dalla Didascalia ai “rinvii”, dalle citazioni all’apologia visiva dei vizi, dalle memorie ai decaloghi, dai materiali preziosi d’archivio alle cartografie del Movimento Comunista Dandy (tra i medaglioni fotografici, ovviamente anche Jacques Derrida).
A leggerlo il Manifesto del comunista dandy è molto più ricco delle 125 pagine con cui si presenta. In questo caso l’apparenza inganna, dirà il lettore consumato. Invece non si tratta di inganno, ma del suo rovescio: si tratta di svelamento.
L’apparenza numeraria manifesta un’assoluta verità ontologica. La quantità non è la stessa cosa dello spessore. Si può essere ricchi essendo poverissimi e vivere da miserabili avendo i forzieri pieni. Tra le libertà filosofiche ed esistenziali che Forlani rivendica con questo suo libro, c’è proprio il principio di contraddizione in una visione post-metafisica e post-lineare che non teme di dileggiare le facili equazioni del comune sentire-leggere-scrivere. Siamo davanti a un’opera infinibile e incatalogabile e la numerazione “indipendente” degli articoli appartiene anch’essa alla fenomelogia eroica che resiste alla linearizzazione in ossequio al pensiero simbolico pluridimensionale.
Forlani sa di avere, come Forlani stesso scrive, dei “doveri d’autore” ai quali si attiene con lo spietato rigore di un anarchico conservatore quale è (in quanto comunista dandy e in quanto ex allievo della Scuola Militare della Nunziatella). Tra questi doveri, il disordine, l’incompletezza, ma soprattutto lo spreco generoso di illuminazioni bruciate in una riga e che ad alcuni basterebbero per scrivere 15 racconti lunghi e 5 romanzi brevi e parecchi elzeviri.
Il plus-valore è nel gesto gratuito della dissipazione, che diventa subito generativa.
Forlani scrive in una perfetta Didascalia datata 1976:
“E’ dandy tutto ciò che è gratuito, che si esaurisce nel suo essere puro atto, limpido spreco, dissipazione. Un amico romanziere dell’ ”Atelier du Roman”, nel pieno d’ una bevuta omaggio a Nadia Comaneci, mi faceva notare come la vera rivoluzione della ginnasta fosse stata non il leggendario 10/10 ottenuto alle Olimpiadi, quanto l’aver introdotto a votazione ultimata (pié pari incollati al tappetino e braccia lungo il corpo) un ultimo gesto. Quello per intenderci delle braccia alzate con movimento del polso quasi a lanciare le dita. Ecco quel gesto era superfluo, del tutto inutile, meravigliosamente compiuto. Un vero gesto comunista dandy.(…)”.
A commento della didascalia, le immagini dell’esercizio perfetto della Comaneci.

Di didascalia in didascalia, di gesto atletico in gesto atletico il comunista dandy Francesco Forlani elabora e nomina e srotola i frammenti di un pensiero rischioso per chi lo segue e arrischiato per chi lo formula.
“Uno dei più bei concetti mai espresso sulla riflessione filosofica e non solo, è quello della “torsione” formulato da Michel Foucault. Questo tentativo di guardarsi dal di fuori, il gesto atletico che richiede. Oggi più che mai necessario in una cultura dominata dalle poetiche della ritorsione”.
Si intitola Torsione, questa Didascalia e si trova a pagina 56 del Manifesto, in prossimità dell’Art. 34 Il bambino comunista dandy, con un rimando all’illustrazione di p. 25 che correda l’ Art. 14 I comunisti dandy e i corsi di tango: un’opera di Giancarlo Foschi, Torsione energetica, in cui due mani maschili strizzano un panno.
In un Monopoli da far impallidire i pur labirintici rimandi di un altro suo libro, Parigi, senza passare dal via (Laterza, 2013), Forlani esercita un consapevole spaesamento, un’ intenzionale vertigine, che porta dritta alla mise en abîme dell’auto- sguardo. Non il solitario riflesso di Narciso, ma l’atletica torsione, non il simbolismo individualista, ma il costruttivismo collettivista.
Forlani e compagni stanno parlando di torsioni mentali e fisiche, che non sono metafore speculari. A mettere a posto le cose (e le parole) ci pensa Edmond Teste, generato da Valéry, generato da Baudelaire, generato da Poe (rovesciamento dell’albero genealogico ricostruito da Jorge Luis Borges in una delle sue Finzioni).
Pensieri di Teste:
“Bisogna entrare in se stessi armati fino ai denti.
Fare, dentro di sé il giro del “padrone di casa”.
Stato d’un essere che l’ha fatta finita con le parole astratte – che ha rotto con esse tutti i rapporti”.
Sempre Teste è l’orgoglioso eroe di una battaglia “contro il pensiero limpido”.
“Io non sono voltato dalla parte del mondo. Ho il viso verso il MURO. Non c’è nulla della superficie del muro che mi sia sconosciuto”. (Paul Valery, Monsieur Teste, Il Saggiatore , 1980)
Per raccontare quel MURO Valery ci ha messo cinquantuno anni, duecentossessantuno quaderni, ventisettemila pagine di frammenti (i suoi Cahiers).
Bartleby, lo scrivano creato da Herman Melville e amato da Borges, immobile, sbiadito, decente, miserabile, rispettabile, disperato, solo, vive col viso rivolto al desolato MURO di mattoni davanti alla finestra del suo ufficio di Wall Street. E alla fine, dopo l’ennesimo “Preferirei di no”, ne muore.

Forlani, che ha nel suo codice genetico frammenti di queste sequenze, si aggira tra le fronde dell’albero genealogico tracciato da Borges, contaminando linguaggi, codici narrativi, dizionari, tenendo sempre assai cara la natura esclusivamente meticcia, mai limpida, mai lineare del pensiero.
Con l’atroce lucidità di chi, con un'elegante torsione, ha dato uno sguardo fuggevole al proprio fantasma, Forlani inforca la bicicletta di Jarry per correre all’ Art. 27 verso un dialogo definitivo:
- Ma tu vivi della tua scrittura?
- No, io ci muoio (…).

Se non fosse che, parecchie pagine dopo, all’ Art. 7 Cocktail e molotov, le serate comuniste dandy per la condivisione collettiva di una buona bottiglia di rosso si esauriscono in un ben più drammatico congedo: “Non c’è più niente da bere”.

 

Francesco Forlani, Manifesto del comunista dandy, Torino, Miraggi Edizioni, 2015 – pp 125, euro 12

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