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Fughe, incontri, incanti:
una storia inquieta
Testo di Tiziana Gazzini per il Catalogo della mostra "Kokocinski, La Vita e la Maschera: da Pulcinella al Clown" - Skira editore

Alessandro Kokocinski in una foto scattata recentemente a Trastevere, in via Garibaldi

FUGHE, INCONTRI, INCANTI:
UNA
 STORIA INQUIETA

di Tiziana Gazzini

1948-1971. Costruzione di un immaginario
   Quando nasce, il 3 aprile del 1948 a Porto Recanati, Alessandro Kokocinski ha già alle spalle molte storie avventurose. La madre, Elena Costantinovna Glowatskaya, è una russa nata negli anni venti, probabilmente a Kiev,
che arriva nel 1943 in Italia nei pressi di Pesaro, dopo una drammatica fuga attraverso l’Europa in guerra, e vive facendo ritratti. Il padre, Janusz Kokocinski, è un polacco con sangue georgiano, passato dai gulag sovietici in Kamcˇatka e che, per i casi della guerra, finisce soldato nel Secondo Corpo d’Armata polacca operante sul fronte adriatico. Elena e Janusz si sposano a Santa Maria di Leuca nell’immediato dopoguerra (la data precisa non si conosce) e quando il loro bambino, Sasha, ha solo pochi mesi, s’imbarcano a Genova, da apolidi, su una nave militare inglese diretta in Argentina.Siamo nell’anno 1948-1949.
   La traversata dell’Atlantico è drammatica, e solo grazie all’intervento disperato di sua madre il piccolo sopravvive a un naufragio. Poi l’arrivo a Buenos Aires, dove i Kokocinski si sistemano al centro di accoglienza dell’Hotel de Inmigrantes (oggi Museo de la Inmigración).
Si trovano male e decidono di andare al Nord, verso il Brasile, dove sono a conoscenza della presenza di alcuni villaggi abitati da russi nella zona delle antiche missioni gesuitiche, che poi non trovano. A salvarli è l’incontro con una comunità nomade di indios Guaranì che vive tra il Brasile e l’Argentina e che li “adotta”.
   I primi ricordi di Sasha sono la corrente del fiume, il Rio Paranà, e dei suoi affluenti, che la comunità risaliva e discendeva seguendo i cicli vitali della foresta pluviale. Una vita dolce e naturale che era il Paradiso, dice ancora oggi Kokocinski. L’incanto, però, non dura.
   Per salvare il figlio da un’epidemia di malaria, i Kokocinski riguadagnano la “civiltà”. Nel 1954 sono nuovamente a Buenos Aires, dove trovano una sistemazione solo a Dock Sud, la zona più degradata del porto industriale, e nel 1955 sono testimoni del bombardamento della Casa Rosada e della caduta di Perón.
   Per Alejandro non è facile integrarsi ed entra in conflitto con la lingua, la scuola, le necessità sociali. Il disegno è l’unica forma di espressione e di rabbia, di affermazione di sé che ha a disposizione. Intanto è nato suo fratello, Yuri, e la vita si fa sempre più dura. Per sottrarre Alejandro, appena adolescente, alla strada, Janusz decide di affidarlo a un piccolo circo uruguayano a conduzione familiare. Non avranno più sue notizie per molti anni.
   Con il circo, che è diventata la sua famiglia, gira il Sud America, facendo l’acrobata. Nelle pause lavora come operaio metalmeccanico, ma fa anche il burattinaio, il costruttore di bambole snodabili e lo scenografo per teatri mobili. Ancora, però, torna al circo fino a diventare, alla fine degli anni sessanta, direttore di pista nella tournée sudamericana del Circo di Mosca quando fa amicizia con il grande clown russo Oleg Popov (1).
   In un’America Latina sotto il giogo degli squadroni della morte, entra in contatto con i gruppi rivoluzionari trotzkisti dell’ERP (Ejército Revolucionario del Pueblo) e inizia a frequentare i corsi di scenografia all’università de La Plata tenuti da Saulo Benavente (1916-1982),un grande maestro della scena argentina.
   Alejandro Kokocinski è un giovane operaio-scenografo-rivoluzionario che disegna manifesti per i movimenti impegnati negli scioperi più duri.
   Nel 1968 lavora da macchinista-scenografo al Teatro Victorica, un teatro underground di Buenos Aires, quando il giovane titolare di una galleria d’arte, che sta per essere inaugurata nello stesso stabile, vede i suoi disegni di vita operaia e urbana e decide di organizzargli una mostra che si apre il primo ottobre 1968 con il titolo “Dibujos”  (“disegni”). È un grande successo. Negli articoli e nelle critiche di quegli anni sono unanimi la sorpresa e la certezza che l’operaio-artista avrebbe trovato un suo posto nel mondo dell’arte.
   Seguono nel 1969 le mostre alla Galleria del Teatro Payro e alla Galeria de Arte di Río Cuarto (Cordoba). La mostra di Río Cuarto, dedicata al grande sciopero proclamato nel 1968 dagli operai della centrale idroelettrica “El Chocon” di Cerro Colorado in Patagonia, a cui si aggiungono disegni sui fatti violenti di Cordoba da poco avvenuti (2), viene chiusa dalla polizia subito dopo l’inaugurazione.
   Nel 1969 Kokocinski lascia precipitosamente l’Argentina per il Cile, dove arriva senza documenti. Conosce Delia del Carril (3), 85 anni, argentina che risiede in Cile, artista e intellettuale cosmopolita, compagna di vita e di ideali di Pablo Neruda, che decide di sostenerlo nella mostra al Teatinos 666 di Santiago del Cile, dove Kokocinski espone i disegni censurati in Argentina (4). Anche Virgina Vidal, giornalista e scrittrice cilena, amica e collaboratrice di Salvador Allende, apprezza il giovane artista-operaio, come scrive nell'articolo Alejandro Kokocinski: el arte al servicio de la lucha social (“El Siglo”, 24 giugno 1970). Kokocinski nel frattempo lavora alla riforma agraria di Allende con l’Università Cattolica di Santiago.
   Il 1971 è un anno chiave. Enrique Araya Gomez (5) presenta i suoi disegni all’Instituto cultural de las Condes di Santiago del Cile, mentre ad agosto si tengono due mostre a Buenos Aires. Alla Galleria Nice lo presenta Mario Pedrosa (6).
   Incontra Andreas Baader (della banda Baader-Meinhof) che si trova clandestinamente in Cile. Incontra anche due attivisti che hanno collegamenti con la Germania e lo invitano a esporre i suoi disegni d’impegno sociale e politico nella galleria di un centro sociale ad Amburgo, la Inter Galerie.
   In quei giorni incontra anche Franco Massidda, un manager della Techint che, con il sostegno di altri amici e di Delia del Carril, lo spinge a lasciare il Sud America, dove per Kokocinski la situazione si è fatta difficile. Enrique Araya gli procura i documenti e Massidda gli regala un biglietto aereo – andata e ritorno – per l’Europa.

1971-1980. Destinazione Europa
L’11 ottobre 1971 è ad Amburgo dove incontra Arie Goral-Sternheim, un intellettuale ebreo tedesco, punto di riferimento per i giovani artisti impegnati nei movimenti di liberazione di ogni latitudine, che gli organizza alla Inter Galerie la mostra “Il vecchio e il nuovo Cile” con i disegni censurati dal regime argentino. Goral definisce il lavoro artistico di Kokocinski “realismo rivoluzionario”7. L’esposizione si inaugura il 28 ottobre senza l’artista che il 25 ottobre è già a Londra, dove prende accordi per una mostra da tenersi alla Perrins Art Gallery di Hampstead nel gennaio 1972 e dove, davanti a un ritratto del Bronzino alla National Gallery, capisce che il suo destino è imparare a dipingere con la tecnica degli antichi maestri. Poi va a Parigi e ancora a Londra.
   Arriva infine a Roma, nella seconda metà di dicembre. In tasca non ha una lira, ma una lettera di presentazione di Delia del Carril per Rafael Alberti, il grande poeta spagnolo, esponente insieme a Federico García Lorca del gruppo di poeti della cosiddetta “Generazione del ’27”.
   Lo incontra nella casa di via Garibaldi in Trastevere e gli mostra la sua cartella di disegni. Alberti esclama: “Goya, Picasso e Kokocinski!”. Chiama a raccolta gli amici romani e pensa di organizzargli una mostra nella capitale, convinto che l’Italia sia il posto giusto per lui. Alejandro torna in Cile, ma per poco. Alberti lo richiama: la mostra è pronta e si inaugurerà il 26 febbraio 1972 presso la Galleria Arte 27, in Trastevere. In catalogo la poesia Alejandro Kokocinski, hoy che il grande poeta andaluso gli ha dedicato.
   Gli amici di Rafael, da Vittorio Gassman a Giuliano Gemma, rispondono all’appello e comprano i suoi disegni.
Kokocinski inizia a pensare di restare in Italia.
   Si sistema nel piccolo studio di Rafael Alberti in via dei Riari, sempre a Trastevere, dove ha lo studio anche il pittore Carlo Quattrucci (1932-1980) che ha lavorato in Messico ai murales di David Alfaro Siqueiros, e di cui diventa amico. Nel cenacolo di via dei Riari arriva poi Riccardo Tommasi Ferroni (1934-2000), affermato pittore che lavora con le tecniche e il respiro della grande figurazione classica: è il maestro atteso.
   Kokocinski torna al teatro ed è autore di scenografie, costumi e trucco per Notte di guerra al Museo del Prado (8), un lavoro teatrale di Rafael Alberti pubblicato nel 1956. La prima della pièce è al Teatro Belli nel febbraio 1973.
   I settanta sono gli anni di via dei Riari. Frequenta l’ambiente dello spettacolo e, sempre attraverso Alberti, entra in contatto con il mondo intellettuale romano: Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Carlo Levi e tanti altri. Conosce Emilio Vedova e nascono amicizie con Ennio Calabria, Renzo Vespignani, Alberto Sughi, Ugo Attardi, Lorenzo Tornabuoni.
   È corteggiato dal cinema: Duccio Tessari vede in lui un perfetto messicano da spaghetti-western. Kokocinski fa un provino, ma poi rifiuta. Dice no anche a Jannis Kounellis e a una performance equestre. Non è arrivato dalla “fine del mondo” per fare l’acrobata sui cavalli – l’ha già fatto nel circo – e adesso vuole dipingere e imparare a farlo sempre meglio.
   Dopo il colpo di stato in Cile e la morte di Salvador Allende, Kokocinski dipinge il grande quadro Settembre 1973 che per la sua drammaticità verrà scelto nel 1974 per una scena del film L’anticristo di Alberto De Martino. Come compenso chiederà un cavalletto, che ancora conserva, e una scatola con pennelli e colori.
   Via dei Riari non basta a sedare il nomadismo di Kokocinski, che vive per alcuni periodi nella casa di Rafael Alberti ad Anticoli Corrado e per diversi mesi presso il monastero benedettino di Santa Scolastica a Subiaco dove, tra l’altro, apprende i rudimenti dell’arte della stampa. Il 1975 si apre con l’invito del Comune di Bologna a esporre a Palazzo Galvani con una personale dedicata ai temi politico-sociali che gli sono cari. La mostra viene poi ospitata al Palazzo Comunale di Pesaro.
   Nel 1976 espone con una personale al Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Sono oli, chine, acqueforti di denuncia della situazione in Argentina, ancora sotto la dittatura militare che continua a tenerlo d’occhio. In quell’occasione viene arrestato per renitenza alla leva anche se non ha la cittadinanza italiana. Grazie all’intervento di amici viene chiarito l’equivoco. Il giornalista Saverio Tutino lo avverte di non partire per l’Argentina perché è ancora nella lista nera del regime di Buenos Aires come antipatriota. L’anno dopo, la mostra di Ferrara andrà in Polonia, alla galleria Pryzmat di Cracovia.
   Nel giugno del 1977 è presente alla X Quadriennale Nazionale d’Arte “Artisti stranieri operanti in Italia”. Il suo quadro Yo quiero a la Argentina, y Ud? viene esposto nella stessa sala de La chambre di Balthus, al quale è stato riservato il “posto d’onore” a Palazzo delle Esposizioni.
   Un’ampia mostra riassuntiva del suo lavoro ha luogo nel 1979 a Roma, alla galleria La Gradiva di Antonio Russo, presentata da Fortunato Bellonzi, e riscuote larghi consensi presso la critica più accreditata e i maggiori collezionisti italiani. È anche tra i personaggi del romanzo di Franco Simongini La torre dell’orologio (Rizzoli, 1979).
   Le cose stanno andando bene ed è questo a scuotere l’inquieto Kokocinski, che lascia Anticoli, perché, dice, “dopo un po’ io devo cambiare”, e si trasferisce a Narni, dove va a stare in un casolare abbandonato che provvederà a sistemare; ogni settimana viene comunque per qualche giorno a Roma dove ha mantenuto lo studio di via dei Riari.
   Dopo il suicidio dell’amico Carlo Quattrucci, che avviene il 28 aprile del 1980 proprio in via dei Riari, lascia definitivamente Roma.


1980-1995. Un’altra vita

È il momento di tagliare molti ponti. Il nomade Kokocinski abbandona anche Narni per un altro eremo: Labro, un borgo arroccato di pietre medievali ai confini della provincia di Rieti, quasi in Umbria, dove si immergerà in una vertiginosa concentrazione di lavoro.
   Dopo il successo della mostra del 1979, nel settembre del 1981 il gallerista Antonio Russo lo invita a Bari per la Fiera Internazionale di Arte Contemporanea, nell’ambito della Fiera del Levante. A novembre una sua nuova personale è a La Gradiva di Roma.
  A Labro, collezionisti di prestigio, come Michelangelo Antonioni, lo raggiungono sempre più spesso per vedere e acquistare le sue opere.
   È ancora a La Gradiva nei primi mesi del 1983, dove Antonio Russo organizza una sua nuova ampia rassegna. A presentarla, Carlo Lodovico Ragghianti.
   Sempre nel 1983 diventa cittadino italiano. In Argentina viene ripristinata la democrazia.
   Ottenuto lo status di cittadino italiano, cerca altri orizzonti geografici e culturali. Punta sull’Australia, dove adesso vive e lavora il suo antico mecenate Franco Massidda, e sull’Estremo Oriente: Thailandia, Cina, Sud Est asiatico.
   Tra un viaggio e l’altro l’attività espositiva italiana continua. Antonio Russo gli organizza una mostra alla galleria La Barcaccia di piazza di Spagna (1985). Nel 1986 espone alla galleria Il Tempietto di Brindisi e alla Galleria Davico di Torino e passa lunghi mesi in Cina dove arriva da clandestino. Ma già nel gennaio 1987 è a Hong Kong, all’Arts Centre - Pao Sui Loong Galleries, con una grande mostra personale che viene definita dalla stampa “eccezionale”
(9). Molte opere sono ispirate al circo: acrobati, ballerini, cavalli impetuosi. Espone poi in Canada (1988) e in Thailandia (1989).
   A Roma, nel febbraio del 1989, la Galleria Don Chisciotte di Giuliano de Marsanich gli dedica una mostra presentata in catalogo da un racconto visionario di Ottaviano Del Turco, il sindacalista.
   Sempre nel 1989, per Kokocinski è tempo di un’altra acrobazia. Vende la casa di Labro e, sulla scia di amicizie fatte in Thailandia, si trasferisce in Germania, a Modonaco prima, poi a Dorfen, un paese medievale della Baviera, dove acquista il castello di Kalling e fa una vita da artista borghese di successo organizzando anche stagioni di concerti di rilievo internazionale, stabilendo un forte legame con la città (10). Frequenta l’ambiente dei ricchi collezionisti e va alle feste frequentate anche da Jeff Koons.
   Tra il 1991 e il 1994 espone all’Akedemie der Künste di Berlino, a palazzo Lobkowicz di Praga e al Leonhardi- Museum di Dresda.
   L’Italia non lo dimentica e negli stessi anni espone a Roma, Napoli, Milano. E lui non dimentica l’Oriente: nel 1992 partecipa a una missione in Cambogia per la verifica dello stato conservativo dei templi buddisti di Angkor.
   Il ciclo di Dorfen e della Baviera, dove vive in un modo che non sente suo, si chiude nel 1995. Lascia la Germania per tornare in Italia, a Roma, in una casa-studio nei pressi di piazza Cavour. È tempo di un nuovo cambiamento di rotta.


1996-2002. Cuore mio
Nel 1996 incontra casualmente l’attrice Lina Sastri e nel 1997, da un’ideazione comune, nasce lo spettacolo Cuore mio che debutta il 10 novembre al Teatro Olimpico di Roma. Lui firma scene, costumi, luci che diventano parte integrante della drammaturgia, e lei, alla sua prima regia, interpreta lo spettacolo di cui è anche autrice.             Qualche mese prima del debutto di Cuore mio, dopo trent’anni torna in Argentina. In settembre c’è l’inaugurazione della grande mostra organizzata in suo onore dal Museo Nacional de Bellas Artes di Buenos Aires: quaranta oli e diciassette opere su carta che ripercorrono la sua traiettoria artistica. A festeggiarlo, con il ministro della Cultura, artisti e intellettuali come Mercedes Sosa, che lo accoglie con il recital Gracias à la vida, e María Kodama, che in catalogo ricorda come Jorge Luis Borges fosse particolarmente toccato dalle descrizioni delle opere di Kokocinski che lei gli faceva (11). E poi gli amici e colleghi dello studio di scenografia di Saulo Benavente. Anche Cuore mio è un successo e va in tournée mondiale (Giappone, Francia, Argentina, Svizzera). Nasce la compagnia teatrale KOSA (Kokocinki-Sastri) che mette in scena Melos e le terre del mare (1998), Mese mariano (2001), Corpo celeste (2001) e Processo a Giovanna (2003).
   Continua a dipingere e a esporre, anche se con minore frequenza. La mostra “Alessandro Kokocinski”, che viene presentata all’Istituto Italo-Latino Americano di Roma (1999), sarà anche a Napoli, all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici a Palazzo Serra di Cassano; Buenos Aires ospita altre sue mostre: alla Galleria Palatina nel 1998, nel 2000 alla Galleria Rubbers e alla Fondazione Borges.


2002-2015. Trasfigurazione
Per realizzare le sue nuove opere, più grandi e più teatrali, Kokocinski ha bisogno di spazio. Lo trova a Tuscania,  prima nella sala anni trenta di un vecchio cinema (2002), e poi, dal 2005, sotto le volte della chiesa duecentesca di San Biagio dove ancora oggi lavora. Frutto delle nuove idee e delle nuove tecniche sviluppate a Tuscania, è il grande polittico della Trasfigurazione. A ispirarlo, un’azione di digiuno, preghiera e denuncia di un gruppo di familiari di desaparecidos argentini tra cui Lita Boitano, in rappresentanza delle Madri di Plaza de Mayo, svoltasi il 27 settembre 1979 a Roma, nella chiesa della Trasfigurazione a Monteverde. L’opera viene esposta per la prima volta nel 2003 a Roma al Museo di Palazzo Venezia, con la curatela di Claudio Strinati che segue già da anni il lavoro di Kokocinski. Sempre Strinati, nel marzo 2005, presenta a Castel Sant’Angelo la mostra “L’ombra delle idee”. La stessa mostra si sposta l’anno dopo a Pechino, al National Art Museum of China, nell’ambito dell’Anno dell’Italia in Cina. A Pechino sono esposte anche le dieci tavole realizzate per illustrare il Paradiso, uno dei tre volumi che compongono l’edizione della Commedia pubblicata da FMR ART’E’12. Ancora a Pechino espone in una collettiva al Today Art Museum. A seguito delle nuove esperienze e degli incontri fatti in Cina, nel 2006 fonda, insieme al pittore cinese Zhiwei Zhou, l’Associazione Artisti Internazionali Ponte. Ritorna a Londra, esponendo all’Istituto Italiano di Cultura e alla Spectrum Gallery.
   Nel 2007 è a Buenos Aires con la mostra “Garibaldi e Anita fra mito e realtà”, che si tiene al Museo della Casa della Cultura. Kokocinski è stato scelto per celebrare in Argentina il bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi. Il soggiorno a Buenos Aires gli permette di realizzare il cortometraggio autobiografico Alejandro es la vida (da un verso di Rafael Alberti nella poesia del 1972).
   Realizza un monumento in bronzo alla Memoria degli Emigranti per il Comune di Carpineto Romano.
   Strinati lo porta di nuovo a Palazzo Venezia con la mostra “La potenza dello spirito” (2008). In contemporanea, a Tarquinia vengono esposte la TrasfigurazioneL’ombra delle idee. E, sempre nel 2008, nasce la Fondazione Kokocinski a sostegno di ogni forma artistica anche in ambito internazionale.
   Nel 2010 espone a Parigi dipinti e terrecotte presso la Galleria Selective Art e partecipa alla Quattordicesima Biennale d’Arte Sacra.
   La mostra “Alessandro Kokocinski. Una voce al silenzio dei vinti” porta nel 2011 la Trasfigurazione a Salisburgo, all’AG Museum e poi a Perugia, al Museo del Duomo. Lo stesso anno, la galleria romana 20 Art Space ospita la mostra “Il cielo celato” in cui sono esposti una quarantina dei suoi più recenti lavori. Partecipa alla cinquantaquattresima edizione della Biennale di Venezia – Padiglione Italia ed espone a Spoleto nell’ambito delle mostre d’arte del cinquantaquattresimo Festival dei Due Mondi.
   L’anno si chiude al Palazzo Sant’Elia di Palermo con la mostra “Estroflessioni figurative”, centrata sul suo nuovo linguaggio espressivo che coniuga pittura e scultura.
   Nel 2013 presenta alla Galleria Artespressione di Milano la mostra “Cyrk”, opere a tecnica mista su libri e carta antica a tema circense. Accetta anche l’invito di María Kodama Borges a realizzare delle tavole su carta ispirate al racconto di Kodama John Hawkwood, che diventano una mostra ospitata in Thailandia, a Bangkok, presso l’Università di Belle Arti Silpakorn. Si ferma in Oriente e fino alla fine dell’anno viaggia tra Thailandia e Cina.
   “Il mercato dell’arte oggi esercita una funzione di image maker per il nuovo capitale” scrive Kokocinski nel 2015 “possiamo parlare di industria dell’arte come si parla di industria della moda: ‘mercato’ e ‘rivolte travestite d’avanguardia’ che profanano l’effige dell’uomo disprezzando la bellezza e offendendo la sua intelligenza. Nel passato, la ristrettezza di mezzi e materiali adeguati ha prodotto capolavori meravigliosi” (13). A lui interessa un modo di fare arte che non rinnega il passato e si propone come “il risultato della conoscenza della materia e della tecnica del ‘saper fare’” (14), senza per questo rinunciare all’innovazione.
   Una visione dell’arte espressa anche dal bassorilievo in bronzo Annuncio per la rinascita di Onna, realizzato nel 2015 per la chiesa di San Pietro Apostolo in memoria delle quaranta vittime della città nel terremoto che il 6 aprile 2009 ha distrutto Onna e L’Aquila.
   In Kokocinski c’è sempre l’urgenza di esprimere quello che ha da dire sull’umanità sperimentando anche nuove tecniche e nuovi materiali, come testimoniano i lavori realizzati negli ultimi anni. A Tuscania, sotto gli archi di San Biagio, nascono i ritratti di una folla dinamica, agitata, che vuole uscire dai confini in cui l’artista l’ha collocata. Una fucina di personaggi spesso monumentali, un’umanità trasfigurata che abita un mondo inquieto con il quale Kokocinski non sarà mai in pace.

 

(1) “Oleg Popoff, a quien conocí personalmente hace años en Buenos Aires, a través de mi amigo Alejandro Kokocinski, hoy en día gran pintor, que entonces trabajaba en el circo de Moscú […]”: C. Lohlé, Presencias y
experiencias, Ed. Carlos Lohlé, Buenos Aires 1986, p. 217.
(2) Al sollevamento popolare e alla protesta violenta di operai e studenti contro la dittatura militare avvenuti a Cordoba, il 29 maggio 1969, e conosciuti come movimento del Cordobazo, il regime reagì con una dura repressione.
Alejandro Kokocinski partecipa al Cordobazo con il sindacato Luz y Fuerza.
(3) Delia del Carril (1884-1989), pittrice argentina, alla fine della Prima guerra mondiale è a Parigi dove si iscrive al Partito Comunista Francese e studia pittura con Fernand Léger e André Lothe. Nel 1934 incontra a Madrid Pablo Neruda che è console del Cile. In Spagna la coppia frequenta poeti come Rafael Alberti e Federico García Lorca.
(4) “Sigue Alejandro por ese camino de sangre, sudor y lágrimas, con modestia y ahinco, buscando tu única e inalienabile personalidad”: Delia del Carril, Archivio Fondazione Kokocinski.
(5) Enrique Araya Gomez (1912-1994). Scrittore e diplomatico cileno. È stato addetto culturale dell’ambasciata cilena in Argentina.
(6) Mario Pedrosa (1900-1981), critico brasiliano, già direttore della Biennale e del Museo di Arte Moderna di San Paolo, nel 1971 è in esilio nel Cile di Allende dove fonda il Museo della Solidarietà di Santiago.
(7) I primi mesi in Europa di Alejandro Kokocinski sono documentati dalla corrispondenza con Arie Goral dall’11 ottobre al 16 dicembre 1971, conservata all’Hamburger Institut für Sozialforschung – Archiv alla posizione: Gor 620, 13. Kokocinski continua a scrivere a Goral fino al settembre 1991 (posizioni: Gor 163,02 – 163,07 -165,01 – 163,12 – 164,08).
(8) I bozzetti di Kokocinski per i costumi di Notte di guerra al Museo del Prado sono stati esposti per la prima volta a Roma, molti anni dopo, nel 2012, a Villa Carpegna, sede della Quadriennale d’Arte, per l’iniziativa “i cavallier, l’arme, gli amori”.
(9) M. Turner, Alessandro Kokocinski: a disturbing delight, in “Hong Kong Standard”, 22 gennaio 1987.
(10) Un bronzo di Kokocinski, La scala di Giacobbe, è a Dorfen in attesa di essere collocato nella piazza centrale della cittadina bavarese.
(11) M. Kodama, in Alessandro Kokocinski en el Museo Nacional de Bellas Artes, catalogo della mostra (Buenos Aires, Museo Nacional de Bellas Artes, 1997), Museo Nacional de Bellas Artes, Buenos Aires 1997, p. 13.
(12) D. Alighieri, Paradiso, vol. III de La Commedia, FMR ART’E’, Bologna 2004.
(13) A. Kokocinski, Le utopie si realizzano, in Grand Tour. L’Italia vista dagli artisti cinesi, catalogo della mostra (Roma, Museo Nazionale d’Arte Orientale G. Tucci, 10 maggio- 6 settembre 2015), a cura di Renato Mammuccari e Liu Manwen, Shanghai 2015, p. 7.
(14) Ibidem.