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14 ottobre 2014 - Mitoraj, il falso antico |
In ricordo dello scultore Igor Mitoraj scomparso il 6 ottobre scorso, si presenta l'articolo di Tiziana Gazzini pubblicato il 10 luglio 1985 sul quotidiano Il Piccolo a proposito della mostra "Mitoraj" (Roma, Castel Sant'Angelo, 28 maggio-15 luglio 1985) |
MITORAJ, IL FALSO ANTICO di Tiziana Gazzini
La mostra di Igor Mitoraj ospitata a Castel Sant’Angelo ha un grave limite. E’ talmente bella che dovrebbe essere permanente. Come farà Mitoraj, scultore polacco che vive tra Parigi e Pietrasanta, ad affrontare un’altra mostra? Esiste un altro luogo che più di Castel S.Angelo sia omogeneo alla sua scultura pseudo-archeologica? E potrà Castel Sant’Angelo ospitare altre mostre? I marmi levigati, i bronzi anticati, opere non finite eppure compiutissime, i “paesaggi archeologici” di Mitoraj, rovine di un passato da fantascienza, sembrano le uniche, legittime presenze nella dedalica pianta di un Castello nato dalla superfetazione del mausoleo di Adriano. Un gigantesco Eros alato, collocato sul Lungo Tevere di fianco all’ingresso di Castel Sant’Angelo, è il nuovo guardiano della soglia. E c’è proprio bisogno di un nume tutelare per reggere all’impatto delle apparizioni oniriche di busti mutili e acefali, di teste frammentarie che risalgono, in un sapiente gioco di luci e ombre, i gradoni della rampa elicoidale di epoca romana. Un allestimento così sapiente, così ammiccante e seducente, è di per sé una grande opera e non poteva che essere il frutto delle qualità visionarie dello stesso Mitoraj. E allora le sculture, così come sono impaginate sullo spartito di Castel Sant’Angelo, entrano in dialettica con l’antica storia del monumento – segreti, passioni, orrori – e acquistano nuovi significati. La sfera di bronzo appesa sulla rampa, a filo con le grate del Sammalo (le celle più terribili del Castello, celebri per aver “ospitato” anche Benvenuto Cellini), si precisa meglio, chiarisce il suo senso, proprio grazie alla collocazione espositiva. Come una monade leibnitziana o un aleph borgesiano in cui il mondo d’improvviso si senta stretto, la sfera di Mitoraj si incrina e da un tassello si affaccia un volto malinconico: la vita è un carcere da cui non si può evadere solo illudendosi di dominare la realtà, la materia. E’ quello che Mitoraj fa riducendo i corpi ad armature slabbrate, esercito di revenant, androidi venusiani o marziani che non possono morire perché vengono dal passato e già appartengono al futuro. Una scultura superficialmente classica che ha tratto molti in inganno. Se Mitoraj avesse voluto coltivare l’equivoco classicista che circola su di lui, avrebbe dovuto evitare Castel Sant’Angelo dove «si trova poco classicismo sereno»» (Gustav René Hocke). Labirinto di sale di rappresentanza, biblioteche, camere da letto, tribunali, spalti, tesori, celle, corti, il Castello è forse il più anticlassico dei monumenti romani. Uno scenario spaesante, riflesso dei turbamenti e del disordine di un’epoca di transizione come il post/rinascimento, per certi versi non troppo diversa dalla nostra era post/industriale. Il falso antico delle opere di Mitoraj, esibito nella Sala dell’Apollo, sullo sfondo di decorazioni murali e grottesche (dipinte nel XVI sec. a imitazione degli affreschi della Roma imperiale), entra nella catena ideale del gioco irriverente delle copie, delle citazioni: slanciate colonne marmoree sorreggono nudi “Stiliti”, mentre una grata sul pavimento della Sala d’Apollo apre uno squarcio sulla rampa elicoidale da cui siamo saliti. Le direzioni si intersecano e le colonne di Mitoraj sono colonne di Ercole oltre le quali si incontra un mondo di intrecci, scale, volte, catene, legami (bende, veli, legacci avviluppano i volti, le mani, i busti scolpiti dall’artista). Sculture che potrebbero sfiorare la freddezza e l’intellettualismo se non fossero attraversate da un erotismo primordiale. Busti di amazzoni adolescenti accolgono l’intrusione di mani maschili, mentre sul cuore di toraci policletei si aprono finestre con volti di donna. I due principi – il maschile e il femminile – coabitano. Allusione al tempo prima dei miti in cui Androgino suscitò l’invidia degli dei. La separazione voluta da Giove costringe uomini e donne a ricercare la metà perduta? Mitoraj, con gesto da demiurgo, ricompone l’unità. La visita alla mostra di Castel Sant’Angelo diventa così un viaggio tra scorci che sembrano usciti dal bulino di Piranesi: una fuga di “carceri d’invenzione”, affollate di bianche “antichità romane”. I secoli e i segni si stratificano in Castel Sant’Angelo e nelle sculture di Mitoraj nate dal tempo per superarlo, annullarlo, vincerlo. Quando verrà l’Apocalisse d’acqua e di fuoco e la prima generazione di uomini sarà distrutta, la nuova umanità – senza storia, senza memoria – troverà le rovine del vecchio mondo. Allora, quando l’ellittica Testa di Psyche del Museo archeologico di Napoli e i Bronzi di Riace del Museo della Magna Grecia si confonderanno coi frammenti delle sculture di Mitoraj, il grande inganno manierista sarà finalmente compiuto. Il Piccolo, 10 luglio 1985 |